venerdì 23 maggio 2008

Gli ultimi eroi


"Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola."




"E' morto, è morto nella sua Palermo, è morto fra le lamiere di un'auto blindata, è morto dentro il tritolo che apre la terra, è morto insieme ai compagni che per dieci anni l'avevano tenuto in vita coi mitra in mano. E' morto con sua moglie Francesca. E' morto, Giovanni Falcone è morto. Ucciso dalla mafia siciliana alle 17,58 del 23 maggio del 1992 [..]."



Così scriveva il quotidiano Repubblica all'indomani della strage di Capaci.

Appena due mesi dopo stessa sorte toccherà al suo amico/collega Paolo Borsellino:
“Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”, dichiarerà in un'intervista subito dopo la morte di Falcone. Venivano dallo stesso quartiere povero di Palermo, che vide, tra le altre, l'infanzia di Tommaso Buscetta.
Inscindibili nella nostra memoria, divenuti simbolo contro la loro stessa volontà, eroi con la sola colpa di per aver rifiutato la via facile del quieto vivere.
Inventarono le figure del "pentito", del "collaboratore di giustizia"; ricostruirono pezzo dopo pezzo la struttura di Cosa Nostra; firmarono la loro condanna a morte con il maxi processo; indagavano circa i rapporti che intercorrevano tra mafia e politica; li fecero saltare per aria, ma avevano già sottoscritto lo loro adesione all'eternità.


La procura di Palermo stava indagando su alcune intercettazioni riguardanti Mangano, Dell'Utri, Berlusconi quando li uccisero. Gli stessi Mangano e Dell'Utri condannati per mafia a seguito di quelle indagini. Mangano, l'eroe che non ha parlato. E chissà quante cose avrebbe avuto da raccontare. Ma questa è un'altra storia, ed a me, sinceramente, è rimasta poca voglia di continuare a raccontare a chi non vuol sentire, mostrare a chi non vuole vedere.
Lascio che siano loro a farlo.

Questa è l'ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino ad alcuni giornalisti francesi; pochi giorni dopo la sua condanna a morte fu eseguita, in via d'Amelio e, come il suo amico, divenne eroe.

lunedì 19 maggio 2008

da Repubblica:
"Allarme UE: L'Italia deve agire subito per risolvere la situazione dei rifiuti a Napoli, per evitare peggiori conseguenze per la salute pubblica. E' quanto sollecita il commissario all'Ambiente Stavros Dimas, per bocca della sua portavoce Barbara Hellferich. La Commissione ha deferito il 6 maggio scorso il nostro Paese alla Corte di giustizia europea, ma - secondo Dimas - "non possiamo aspettare la sentenza della Corte: le autorità italiane devono agire rapidamente per mettere fine ad una situazione che presenta alti rischi per la salute pubblica".

io pensavo che, oltre che dai telegiornali, dal 14 aprile la monnezza fosse sparita anche dalle strade di Napoli..
Vabbè, almeno sono finiti i tempi del caro prezzi e dei pensionati che frugavano tra gli avanzi dei mercati rionali. Come dici? Anche quelli sono spariti solo dai tg? Cioè, vuoi dire che in realtà... occazzo! e adesso?

California dreaming

L'abolizione dell'ICI costerà allo Stato circa 2,5 miliardi di euro. Tvemonti ha assicurato che il mancato gettito a carico dei comuni sarà ricompensato.
Sono curioso di vedere come. Le ipotesi sono: compartecipazione Irpef, istituzione di un nuovo tributo (Isco), trasferimenti dello Stato, stretta a carico di banche e assicurazioni con aumento tasse per le società petrolifere.
Mercoledì sapremo.

mercoledì 14 maggio 2008

Regime

Aspè, forse non avete capito bene.
Stamane l'Agcom ha aperto un'istruttoria contro la RAI riguardante la puntata del primo maggio di "AnnoZero" e quella di "Che tempo che fa".
Lasciamo stare la puntata di Annozero, soffermiamoci sul resto.
Allora:
Schifani è stato socio di persone appartenenti all'associazione mafiosa, e questo è un fatto assodato (egli stesso lo confermò durante un'udienza in tribunale nel 1994).
Nel 2006 Abbate (giornalista noto per le sue accurate inchieste sulla mafia, più volte minacciato di morte) scrive un libro a quattro mani con Peter Gomez: tale "I Complici", che riceve diversi premi, tra cui quello intitolato a Paolo Borsellino.
Nel libro vengono citati i rapporti che negli anni 80 intercorrevano tra il neo presidente Schifani e coloro che pochi anni più tardi sarebbero stati condannati per mafia: La Loggia, Mandalà, D'Agostino e Lombardo.
Sabato scorso, a "Che tempo che fa", Travaglio riprende proprio tali passaggi del sopra citato libro. Non esprime alcuna opinione, nè ne trae considerazioni affrettate.
Meh, apriti cielo!
Tutti ad indignarsi, a scusarsi, e Travaglio di qua, e Fazio di là, e Santoro, e Grillo, e la solidarietà a Schifani, e il contradditorio, e Schifani querela Travaglio, ed il corriere, e la repubblica, e l'agcom, e madonne e santi.
Ora mi domando e vi domando:
perchè l'innocente (o presunto tale) Schifani non ha querelato a suo tempo i sig.ri Abbate e Gomez per aver pubblicato tali vicende?
Risposta: non si può querelare un giornalista la cui unica colpa è semplicemente quella di aver scritto un fatto, a meno chè non si tratti di un regime dittatoriale.
E si può querelare un giornalista che racconta ciò che altri giornalisti hanno scritto in merito ad alcuni fatti?
Risposta: Se ti chiami Schifani e stai al governo con tessera P2 1816, puoi.
Conclusioni: bentornati al regime dittatoriale (e anche un pò massonico)

lunedì 12 maggio 2008

Il contraddittorio contraddittorio.

Ho letto ieri ed oggi degli attacchi (da destra e da sinistra) al giornalista Travaglio, per aver raccontato, ospite a "Che tempo che fa", dei rapporti tra il neo presidente del Senato, Schifani, ed alcuni esponenti mafiosi quali La Loggia, D'Agostino e Mandalà durante gli anni '80.
Tutte le accuse verso il giornalista si incentrano sul fatto che in studio, al momento delle rivelazioni, non era presente alcun contradditorio.
Travaglio ha però raccontato fatti accertati dalla giustizia (tant'è che nessuno ha osato minimamente accusarlo di aver raccontato vicende non veritiere) e, sinceramente, non ho mai sentito parlare di un "contradditorio sui fatti".
Allora delle due una: o Travaglio, Gomez, Saviano o chi per loro, dicono e scrivono cazzate e li si querela, oppure, anzichè riempirsi la bocca con parolone tipo "contraddittorio", la Finocchiario, Cappon, Rotondi, Ruffini, Gasparri e tutta la massa di deficenti che ci governa, farebbero bene a chiedere chiarimenti al sig Schifani circa i suoi trascorsi rapporti con i succitati mafiosi.

sabato 10 maggio 2008

Un nutto immescato cu niente

"Appartiene al tuo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un pò d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore."

Peppino Impastato.

Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale.
Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. Peppino non c'è più, è morto, si è suicidato. No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: "voglio abbandonare la politica e la vita".
Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa: se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio.
Come l'anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano oppure come l'editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell'Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell'onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto.
Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato. Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall'altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino.
Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma no perché ci fa paura, perché ci da sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nutto immescato cu niente.
Salvo Vitale

venerdì 9 maggio 2008

Parole Indigeribili.


"Pronto? È il professor Franco Tritto?”.

“Chi parla?”.
“Il dottor Nicolai”.
“Chi Nicolai?”.
“È lei il professor Franco Tritto?”.
“Sì, sono io”.
“Ecco, mi sembrava di riconoscere la voce… Senta, indipendentemente dal fatto che lei abbia il telefono sotto controllo, dovrebbe portare un’ultima ambasciata alla famiglia”.
“Sì, ma io voglio sapere chi parla”.
“Brigate rosse. Ha capito?”.
“Sì”.
“Ecco, non posso stare molto al telefono. Quindi dovrebbe dire questa cosa alla famiglia, dovrebbe andare personalmente, anche se il telefono ce l’ha sotto controllo non fa niente, dovrebbe andare personalmente e dire questo: adempiamo alle ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’onorevole Aldo Moro”.
“Ma che cosa dovrei fare?”.
“Mi sente?”.
“No; se può ripetere, per cortesia…”.
“No, non posso ripetere, guardi… Allora lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani, che è la seconda traversa a destra di via delle Botteghe Oscure. Va bene?”.
“Sì”.

“Lì c’è una Renault 4 rossa. I primi numeri di targa sono N 5”.
“N 5? Devo telefonare io?” (ed è preso dal pianto).
“No, dovrebbe andare personalmente”.
“Non posso…”.
“Non può? Dovrebbe, per forza…”.
“Sì, certo, sì…”.
“Mi dispiace. Cioè se lei telefona non… non verrebbe meno all’adempimento delle richieste che ci aveva fatto espressamente il presidente…”.
“Parli con mio padre, la prego…” (nel pianto, non riesce più a parlare).
“Va bene”.
“Pronto? Che mi dice?”.
“Lei dovrebbe andare dalla famiglia dell’onorevole Moro oppure mandare suo figlio o comunque telefonare”.
“Sì”.
“Basta che lo facciano. Il messaggio ce l’ha già suo figlio. Va bene?”.
“Non posso andare io?”.
“Lei, può andare anche lei”.
“Perché mio figlio non sta bene”.
“Può andare anche lei, va benissimo, certamente: purché lo faccia con urgenza; perché le volontà, l’ultima volontà dell’onorevole è questa: cioè di comunicare alla famiglia, perché la famiglia doveva riavere il suo corpo… Va bene? Arrivederci”.